La decadenza del mondo
_libro secondo/1105-1174
1105 Dopo l’origine del mondo e il primo
giorno del mare e della terra, dopo
la nascita del sole molti corpi
venuti dall’esterno, molti semi
tutt’intorno s’aggiunsero, gettati
dall’universo immenso e lì raccolti.
È grazie ad essi che le terre e i mari
possono accrescersi e può conquistare
1110 la dimora del cielo nuovo spazio
spingendo in alto, sempre più lontano
dalla terra, la sua volta profonda,
e l’aria si solleva. Da ogni parte
tutti i corpuscoli, spinti dagli urti,
si dispongono in modo da raggiungere
il loro luogo e unirsi al loro genere:
all’acqua quelli dell’acqua, la terra
s’accresce grazie agli atomi terreni,
1115 alimentano il fuoco quelli ignei
e quelli eterei l’etere, finché
la natura creatrice d’ogni cosa
le guida al compimento della crescita
come avviene allorquando quel che entra
nelle vene vitali non eccede
più in nulla ciò che ne fluisce via
1120 e svanisce. Ed è qui che in ogni cosa
trova un limite il tempo della vita;
è la natura stessa che ne arresta
con la sua forza l’ulteriore crescita.
Infatti tutti gli esseri che vedi
gioiosamente accrescersi e salire
un po’ alla volta i gradini che portano
all’età adulta accolgono più atomi
di quelli che ne perdono, finché
1125 il cibo si diffonde facilmente
per ogni vena e non ancora sono
disfatti al punto tale da rimetterne
molti e l’età fa sì che gli elementi
che vanno persi siano più di quelli
assimilati come nutrimento.
Certo bisogna ammettere che gli atomi
fluiscono e si staccano in gran numero;
ma ancor di più devono essere quelli
1130 che s’uniscono, almeno fino a quando
non è raggiunto il tetto della crescita;
allora un po’ alla volta l’età spezza
le forze ed il vigore adulto e scorre
verso il disfacimento. Quanto più
è grande e largo un corpo giunto al massimo
del suo sviluppo, tanti più saranno
1135 gli atomi che lo lasciano e che sparge
tutt’intorno; non più si spande il cibo
agevolmente in tutte le sue vene,
né basta a riformare e compensare
quanto viene perduto a larghi fiotti.
E giustamente muoiono, allorquando
questi fiotti li rendono più fragili
1140 e soccombono tutti ai colpi esterni
poiché alla tarda età perfino il cibo
viene a mancare e intorno gli altri corpi
martellano incessanti a logorarlo
finché i colpi implacabili lo abbattono.
E così dunque crolleranno, vinte,
le grandi mura che cingono il mondo
1145 e non saranno che rovina e polvere.
Bisogna infatti che il cibo rinnovi
ed integri ogni cosa, e la sostenga,
ma invano: perché né le vene reggono
quanto sia sufficiente, né fornisce
più la natura quel che è necessario.
1150 Ed è fiaccata ormai la nostra età
estenuata la terra a stento crea
piccole bestie, lei che diede vita
un tempo ad ogni specie e partorì
le grandi fiere dai corpi possenti.
Non fu infatti, io credo, da una fune
d'oro calata dal cielo che vennero
le varie specie mortali nei campi, (1)
1155 e né il mare né i flutti che tormentano
gli scogli le crearono; fu invece
la terra stessa che ora li alimenta.
Fu lei inoltre, libera, a creare
per i mortali all’inizio le floride
messi e i vigneti abbondanti; fu lei
a offrire dolci frutti ed abbondanti
1160 pascoli, che oggi invece a malapena
crescono nonostante la fatica
enorme che si fa per aiutarli:
vi logoriamo i buoi ed il vigore
dei contadini e consumiamo il vomere,
ed a stento i campi ci ricambiano:
fino a tal punto sono avari ormai
di frutti e chiedono maggior fatica.
E ormai sempre più spesso il contadino
carico d'anni sospira scuotendo
1165 il capo, ché la sua grande fatica
è caduta nel nulla e se confronta
i tempi attuali con quelli passati
spesso dice felice e fortunato
suo padre. E così è triste chi coltiva
una vigna ormai vecchia ed avvizzita
e maledice il corso delle cose
e impreca contro questa nostra età
1170 brontolando che gli uomini d’un tempo,
colmi di devozione trascorrevano
un'esistenza molto più piacevole
in angusti confini, perché poca
era la terra assegnata a ciascuno.
E non pensa che tutto, un po’ alla volta,
svanisce e va in rovina, logorato
dall’inesausto scorrere del tempo.
(1) L’immagine della fune d’oro si trova nell’Iliade 8.19.